Diario
4 dicembre 2008
Il capo dei capi
Oggi, su Canale 5, andrà nuovamente in onda la prima puntata della fiction
Pubblico la recensione che ne feci il 16 novembre 2007 su Romareporter.
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Finalmente ieri ho visto una puntata della fiction Il capo dei capi, la serie tratta dal libro dei giornalisti Bolzoni e D'Avanzo, di cui sono grande ammiratore.
 Per
fortuna o purtroppo, non guardo televisione (se non un telegiornale
alla sera e le partite dell'Inter), così non mi era facile convincermi
a star lì davanti e mi sono convinto tardi, alla quarta puntata. La
fiction è ben recitata, un palermitano vero e non il solito slang
siculo-raulbovese. Tutto, quindi, acquista credibilità, e fa sembrare
di assistere a una storia vera. Il problema è, però, che questa storia
è vera per davvero. E allora sorgono i primi dubbi. Partiamo da un distinguo: chi sono i buoni? I buoni sono quelli che combattono la mafia. In
ogni film del filone, lo spettatore ha tutto il tempo per ragionare su
questo punto, appassionarsi all'uomo di Stato, che muore per avere
avuto troppe palle e aver creduto in quello che faceva. Monta la rabbia
al pensiero di chi ci ha spezzato il sogno, di chi ha stroncato la vita
dell'eroe che stava spalando un po' di merda. Ecco: in questa
fiction la rabbia non monta: vedi morire gente come Boris Giuliano,
Gaetano Costa, Cesare Terranova, e rimani lì, impalato. La loro morte
non suscita emozioni; anzi! attendi di sapere cosa farà o dirà adesso
Riina, Totò u curtu! Se non fosse che Giuliano, Terranova, Costa,
sono personaggi di uno spessore e di un coraggio che quello da solo
dovrebbe offuscare le miserabili gesta di qualunque capomafia. La
produzione ha creato un personaggio a tutto tondo, Riina, che,
diciamolo apertamente, emana un fascino a cui è difficile sottrarsi. La
storia della sua ascesa somiglia troppo a quella di Michael Corleone, e
ci appassiona come se si trattasse del Padrino. Vedi il momento in cui
il boss Gambino, il capo americano, riconosce che in Italia adesso
comandano i corleonesi. Quello è il momento topico, a questo punto
abbiamo un déjà vieux col film di Coppola. L'alter ego di Riina
dovrebbe essere questo personaggio immaginario, Biagio Schirò,
totalmente votato alla sua idea di giustizia, per cui sacrifica la
famiglia che ama profondamente. Schirò rappresenta tutti i soldati
semplici che hanno combattuto la mafia. E' un po' poco, onestamente.
Anche perchè Schirò rimane il personaggio meno credibile di tutta la
fiction. Ancora, perchè c'erano talmente tanti personaggi reali che
potevano fare da contraltare a Riina, ed è un peccato vedere un giovane
Falcone in sfondo, e non potere zoomare su di lui, è un peccato vedere
il Procuratore Gaetano Costa così incerto, fare il suo dovere solo
quando incalzato dal poliziotto Schirò. Mi viene in mente questa immagine:
 Intendo
dire che chi ha vissuto Palermo in quegli anni, ed era dalla parte di
Costa, certi brividi li prova eccome! I brividi li provo guardando le
lapidi di Palermo, non guardando un poliziotto inventato. Vorrei
fare un'altra riflessione: ricordo bene, quando Totò u curtu fu
arrestato (viveva in una villa con piscina accanto all'ufficio dove io
andavo a lavorare tutti i giorni), ricordo bene, dicevo, il fascino
criminale che emanava. Tutti appesi alle labbra di questo mostro, a
partire dai giudici che lo interrogavano. Questa è la natura umana ed è
difficile ribellarsi. Ma questo fascino è rinverdito alla grande dalla
fiction Il capo dei capi, e non è difficile pensare a quale effetto
avrà su certi bambini di Palermo, tanto per cominciare. Lavorando come
educatore e poi come assistente sociale sui minori, a Palermo, ho
incontrato molti bimbi in situazione che noi, per sintesi, definiamo di rischio.
Questi bimbi, come tutti i bimbi del mondo, sono spugne, assorbono
qualsiasi messaggio. A differenza di altri bimbi, più protetti, nessuno
farà loro da filtro, e chi glielo spiega poi che zio Totò fa parte dei
cattivi?
1 dicembre 2008
L'impegno politico ai tempi di Facebook
L'onda in piena travolge tutti: è la Facebook mania. La comunicazione è veloce (con la chat addirittura istantanea), e la comunità di "amici" può farsi davvero immensa. Ogni giorno arriva qualcosa come una cinquantina di notificazioni che riempiono le mail e ci fanno sentire fortemente connessi. Ho scoperto amici e amiche che non credevo di avere e ritrovato, con piacere sincero, persone del mio passato, con cui scambiare un: "oilà, anche tu qui?" E poi ci sono i gruppi, da quelli "di cazzeggio puro" a quelli più impegnati:
- Ad esempio
- I rifiuti intelligenti,
- Che Guevara t.v.b. .,
- Quelli che non hanno mai abbracciato George W. Bush e ne sono fieri.,
- Per RICORDARE,
- Salva i Blog! Contro il DDL anti-Blog presente alla Camera (DdL C. 1269),
- Ex Alunni Liceo Classico Statale Giuseppe Garibaldi Palermo,
Ai gruppi o alle cause di cazzeggio non ho alcun problema a iscrivermi, con un click sono annesso a cose fantastiche, da cui mi cancello con un altro click. L'ultimo frequentato?
ASSOCIAZIONE DONATORI D'ORGASMO :-)
Ma i gruppi seri? Supponiamo che uno ti inviti a diventare fan di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli altri eroi Io mi blocco, non ce la faccio. Che significa: "e gli altri eroi? chi sono? Hanno nomi? ...e poi, che significa diventare fan? Cos'è? Vasco Rossi?
La discussione politica ai tempi di Facebook si banalizza. I dibattiti si svolgono dentro questo contenitore del tutto e niente, dove le idee non sono approfondite, segno dei tempi, un SMS del cervello. I gruppi badano alle adesioni: quanti siamo? Quanti sono gli altri? Chi vince?
Il fenomeno Facebook, evidentemente, deve fare il suo corso. Finirà, come ogni moda.
19 luglio 2008
Niente è stato fatto che possa restituirci la tua presenza!
E manchi al mondo. Maledettamente!

16 anni dopo il lutto non sbiadisceNella strage di via D'Amelio rimasero uccisi:
- Agostino Catalano, capo scorta, 43 anni. Sposato, aveva perso la moglie ed era rimasto solo con le sue due figlie.
- Walter Eddie Cosina, 30 anni. Era nato in Australia. Morto durante il trasporto in ospedale. Lasciava la moglie Monica.
- Emanuela Loi,
24 anni, la prima donna poliziotto entrata a far parte di una squadra
di agenti addetta alla protezione di obiettivi a rischio.
- Vincenzo Li Muli,
22 anni. Il più giovane della pattuglia. Da tre anni nella Polizia di
Stato, aveva ottenuto pochi mesi prima la nomina ad agente effettivo.
- Claudio Traina,
26 anni. Arruolato in Polizia giovanissimo, dopo essere stato a Milano
e Alessandria, aveva ottenuto da poco il trasferimento nella sua città:
Palermo.
Antonio Vullo, 32 anni, agente, sposato
e padre di un figlio è l’unico riuscito a sopravvivere alla strage.
Mentre i suoi colleghi si stringevano, come d’abitudine, attorno al
magistrato, Vullo parcheggiava la macchina poco distante.  Onore a chi perse la vita per lo Stato
23 maggio 2008
23 maggio 1992, FALCONE ASSASSINATO... 16 anni dopo il lutto non sbiadisce.
Il 23 maggio 1992, alle 17,58, presso il Km. 5 della A29, una carica di cinque quintali di tritolo posizionata in un tunnel scavato sotto la sede stradale nei pressi dello svincolo di Capaci - Isola delle Femmine viene azionata per telecomando da Giovanni Brusca, il sicario incaricato da Totò Riina. La deflagrazione ucciderà Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani, Rocco Di Cillo. L’attentato viene soprannominato “La strage di Capaci”.
Sono passati 16 anni, nel corso dei quali è stato detto, scritto, e rappresentato tutto quello che conosciamo. Palermo ha avuto la forza di ribellarsi, e con la città lo Stato, che ha conseguito vittorie importanti, anche se la guerra è ancora tutta da combattere. La memoria si è spenta solo in parte, costa dolore il pensiero che il tempo possa sbiadire il lutto di quei giorni.
 Io ero in via Croce Rossa, in licenza dal servizio civile che stavo prestando a Caltanissetta, al carcere minorile della città. Avevo i miei pensieri: la lontananza da casa, un amore che finiva, la borsa coi vestiti sporchi e un pullman che, l’indomani, mi avrebbe riportato in carcere. La notizia me la diede l’amica a cui stavo telefonando da una cabina telefonica. Avevo già sentito tante sirene, troppe, tutte in direzione autostrada. Avevo capito che qualcosa di grave era accaduto. Ma non pensavo irreparabile. L’amica mi disse che Falcone era ancora vivo, forse anche la moglie. Ma erano gravi, gravissimi. Ammutolii. La sensazione che qualcosa si fosse irrimediabilmente sgretolato, e che non vi fosse più rimedio. Capii cosa significa sentirsi crollare il mondo addosso. Prima di cena, Palermo intera cadde in uno sconforto senza limiti, le telefonate si susseguivano frenetiche tra amici, ma le parole non c’erano. Era solo desiderio di contatto. Non avevo voglia di tornare in carcere, a Caltanissetta, dove forse mi attendevano detenuti in festa, come quelli, di cui seppi, che dentro l’Ucciardone stavano festeggiando la vittoria sullo Stato. Ma ero in servizio civile e non potevo far nulla, ero anch’io un frammento di Stato. Dovetti lasciare Palermo, la mia città ferita a morte. Il direttore del carcere mi negò la possibilità di partecipare ai funerali. Anche lui rappresentava lo Stato. E con esso il senso del dovere. I funerali li vidi in televisione, a Caltanissetta, insieme alle guardie e ai detenuti, trattenendo le lacrime. Ma scoprii che anche loro le trattenevano. Sentii parlare Rosaria Costa, vedova Schifani. Il prete che le porgeva il microfono era lo stesso che anni prima mi aveva dato la cresima. Adesso lo vedevo lì, allontanarle il microfono per paura che la vedova dicesse parole di troppo. Struggenti, vere, ma di troppo. E c’era Borsellino, di pietra, e Antonino Caponnetto, in un dolore composto che a luglio di quell’anno sarebbe diventato, definitivamente, senza speranza.
Sedici anni fa, era questo che accadeva. Altro ancora sarebbe accaduto, prima che lo Stato si risollevasse e portasse giustizia. A noi resta il dovere della memoria.
Falcone diceva: “Ognuno di noi deve fare la sua parte, piccola o grande che sia, per contribuire a creare condizioni di vita più umane. Perché certi orrori non abbiano più a ripetersi”
Segnalo l'iniziativa di Palermo Urban blog, che raccoglie tutte le testimonianze dei navigatori, alla semplice domanda: tu dov'eri quel giorno? Idea semplice, e molto interessante come lo sono le cose semplici.
Segnalo inoltre questo I N T E R E S S A N T I S S I M O video da YouTube, illuminante sull’argomento, dal titolo:Costanzo Show: Totò Cuffaro aggredisce Giovanni Falconehttp://www.youtube.com/watch?v=F5MZmJLMQ9Y

A questi due uomini, solo grazie. Dopo 16 anni. Ancora grazie!
2 marzo 2008
Riina Jr. a passeggio. Salvuccio rientra a Corleone.
Il figlio del boss torna a casa!
   Bello e griffato, Salvatore Riina, terzogenito di Totò u curtu e nipote di Bagarella, condannato in appello a 8 anni e 10 mesi per mafia e scarcerato giovedì dalla Cassazione per scadenza dei termini di custodia cautelare, è tornato a Corleone, il suo regno, il regno dei Riina. E' già scandaloso così. Senonchè interviene il commento dell'attuale Ministro della Giustizia Luigi Scotti, che esclude qualsiasi possibilità di pronto intervento sulla situazione, ma promette un controllo "per vedere se ci sono stati ritardi non giustificati" e poi chiede "scusa agli italiani per questi ritardi della giustizia"
Scuse non accettate, caro Ministro! Il 6 novembre del 2007, all'indomani dell'arresto dei Lo Piccolo, veniva pubblicato a pagina 4 di Repubblica un articolo a firma Bolzoni, dal titolo "Cosa Nostra senza un capo". Sottotitolo: "Dopo Riina e Provenzano al potere una generazione di nuovi mafiosi. Ecco i nomi". In particolare l'ottimo Bolzoni fa i nomi dei boss del futuro: PIETRO TAGLIAVIA di Brancaccio, GIANNI NICCHI di Pagliarelli, e SALVO RIINA di Corleone. Ma come? mi chiedo: Salvo Riina grazie a dio è in galera! Poi leggo nell'articolo, (il 6 novembre dello scorso anno!): ... Il terzo è Salvo Riina, classe 1977, .... fra qualche settimana in libertà. La Cassazione gli ha annullato la condanna.
Della scarcerazione di Riina Jr. si sapeva quindi da novembre. C'era tutto il tempo di porre rimedio con un decreto legge ad hoc, come si era fatto nel '91 per riportare in cella una trentina di boss scarcerati per decorrenza dei termini. La delusione è doppia, caro Ministro. Il precedente Governo ha smantellato il codice penale, questo Governo ha avuto i riflessi lenti come un bradipo.
I Ministri rivendicano sempre come successi gli arresti eccellenti che sono il successo del lavoro di funzionari delle Forze dell'Ordine fedeli allo Stato, qualunque colore abbia. E' quello lo Stato che fa sempre il proprio dovere. E che ora dovrà occuparsi daccapo di SALVO RIINA di Corleone.
17 febbraio 2008
Appello per Rita Borsellino, di Vincenzo Consolo
Pubblico di seguito l'appello in favore di Rita Borsellino a ruolo di Governatrice della Regione Sicilia, scritto da Vincenzo Consolo, famoso scrittore siciliano.
Al di là dell'appello, che naturalmente sottoscrivo, vorrei dare risalto alla notizia, freschissima, della disponibilità di Anna Finocchiaro a candidarsi al ruolo di governatrice, con un ticket composto da lei e dalla Borsellino, vicepresidente. Sarebbe un sogno! Sarebbe una ventata d'aria sana per la mia terra! Sarebbe come dire che finalmente la Sicilia ha l'occasione di svoltare, con l'impegno dello Stato nella lotta alla mafia, con la ribellione degli imprenditori al racket, capitanati da Ivan Lo Bello che, giustamente, non entra in politica, e adesso con questa coppia di donne siciliane di indubbio valore e di indiscutibile integrità, e con una buona capacità politica, rafforzata dall'esperienza di Anna Finocchiaro e dalla "freschezza" di Rita Borsellino! Ne sarei felice.
Segue l'appello di Consolo:
APPELLO
La Sicilia ha bisogno di una svolta radicale. Le dimissioni del
governatore Cuffaro lasciano intatto il sistema clientelare che
conosciamo e che oggi grazie ai fermenti che la società siciliana sta
vivendo, potrebbe finalmente essere scardinato.
E' necessario che la politica faccia un salto di qualità scegliendo come
candidato alla presidenza dell'isola chi per storia e identità personale
possa raccogliere e attrarre attorno a sé le energie migliori della
Sicilia al di là delle logiche di schieramento e di partito. Un
candidato che sappia rivoluzionare i meccanismi e le logiche della
politica, in sintonia con il meraviglioso percorso di cambiamento
culturale in corso tra pezzi della società siciliana.
Rita Borsellino ha queste caratteristiche. Se i partiti vogliono davvero
voltare pagina, se il centrosinistra lo vuole, allora sappia guardare
con occhi attenti a cosa accade fuori dai palazzi e alla storia di
questa terra.
Vincenzo Consolo
9 febbraio 2008
Quindici anni fa, funerali della scorta del giudice Borsellino
Mi è venuto in mente adesso, di fronte a quest'ondata di arresti, a questi successi del nostro Stato finalmente vincente contro la mafia. Era il 21 luglio del 1992. Eravamo ai funerali, in Cattedrale a Palermo, della scorta del giudice Borsellino. Faceva caldo.
La folla premeva un cordone di poliziotti che sbarravano l'ingresso alla cattedrale già piena di politici. Ogni politico di ogni schieramento era lì, le contestazioni erano fortissime, anche dentro la chiesa.
 Io ero in prima fila, come succede per caso. La polizia non ci faceva passare, indietreggiammo. Poi, tutti insieme caricammo. C'erano giovani, come me, ma anche anziani. Ci fecerò passare. Fu una corsa a scavalcare il muro della cattedrale. Nella foga, io e pochi altri rompemmo pure il secondo cordone, quello che doveva proteggere i politici. Mi ritrovai nell'atrio, insieme ai giornalisti che fremevano per cogliere impressioni. Uno di loro, lavorava per IL GIORNO, mi intervistò. Parlai di quella ennesima violenza, vietare i funerali alla folla per proteggere gente che avrebbe preferito uscire dalla porta di servizio, pur di non affrontare la protesta (solo Fini ebbe il coraggio di uscire dalla porta principale). Il giornalista mi chiese il nome, glielo dissi. Il giorno dopo trovai scritte dichiarazioni che mai hanno fatto e faranno parte del mio pensiero, in favore della pena di morte.
 Imparai lì, cos'è l'informazione poco accurata! E' solo un ricordo. Nessuno mai, tra i ragazzi che piangevano accanto a me, avrebbe pensato che, dopo 15 anni, lo Stato si sarebbe ripreso il suo ruolo di garante dei cittadini onesti contro la mafia. Grazie ancora agli uomini di buona volontà, che lavorano contro tutto e tutti, lasciando le dichiarazioni di successo ai politici di turno, a cui quei successi non appartengono. Grazie!
8 febbraio 2008
Presi i boss del nuovo patto Italia-Usa. Lo Stato vince sulla mafia!
Così Bolzoni su Repubblica: http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/cronaca/operazione-palermo-ny/operazione-palermo-ny/operazione-palermo-ny.html Il primo nome è quello di Francesco Paolo Augusto Calì, meglio
conosciuto a Brooklyn come Frank o Franky Boy. E' considerato
l'"ambasciatore" di Cosa Nostra americana nell'impresa di mettere
ordine nei rapporti con le "famiglie" di Palermo. Sin dalla fine del
2003 molti mafiosi siciliani sono volati dall'Italia a New York per
incontrarlo, per fare business, per riferire proprio a Franky Boy come
andavano le cose in Sicilia. Da più di dieci anni
Franky Boy è un "wiseguy", un uomo d'onore della "famiglia" Gambino.
"Frank è amico nostro, è il tutto di là", confidava in una telefonata
il mafioso Gianni Nicchi - uno degli uomini d'onore siciliani che hanno
fatto la spola fra Palermo e gli States per un commercio di
stupefacenti - al suo capomandamento Antonino Rotolo. Era chiaro che "è
il tutto di là" voleva dire che era Frank a comandare a New York.
Il "piano" degli Inzerillo di riconquistare Palermo è fallito. I boss
della mafia storica siculo-americana sono stati fermati proprio mentre
si stavano riorganizzando. Anche loro stessi avevano intuito che non
sarebbero andati molto lontano.
Ancora grazie a tutti: Sono personaggi importanti quelli scivolati nell'indagine della polizia
italiana e dell'Fbi, le ordinanze di custodia cautelare sono state
firmate a Palermo dai procuratori Giuseppe Pignatone, Maurizio De
Lucia, Domenico Gozo, Roberta Buzzolani, Michele Prestipino, Nino Di
Matteo e Guido Lo Forte; a New York i mandati di arresto sono stati
ordinati dal procuratore distrettuale.
Link per i video di Repubblica Radio TV la camera della morte: http://tv.repubblica.it/home_page.php?playmode=player&cont_id=17015
7 febbraio 2008
Blitz a Palermo e New York, 90 arresti in Cosa Nostra
Bellissima, importantissima notizia!!!
E' stato arrestato, tra gli altri, il boss Frank Calì, fondamentale anello di congiunzione tra mafia siciliana e americana, esponente di spicco della famiglia Gambino di New York
Operazione
"Old Bridge". Nel mirino Inzerillo, Gambino e Di Maggio. Presi uomini
che trattavano il rientro in Italia degli sconfitti dai Corleonesi. Grasso: "Così si ridà fiducia ai cittadini" http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/cronaca/operazione-palermo-ny/reazioni-grasso/reazioni-grasso.html
E' una notizia, oltre che importante, di quelle che restituiscono fiducia in questo nostro Stato, in uomini che non mollano mai, che non tradiscono, che non promettono ma sanno mantenere, magistrati, SCO, servizi investigativi in genere. Mi verrebbero tanti nomi, ma è giusto non farne per non dimenticare nessuno. Sono loro la faccia bella dello Stato italiano!
26 gennaio 2008
Le dimissioni di Cuffaro, Palermo festeggia
Mi giungono notizie fresche da Palermo: giusto in questo momento tanta gente è scesa in centro, ognuno con un cannolo in mano, per festeggiare le dimissioni di Cuffaro. Mi sembra una bella scena, non di opposizione politica, ma di reazione al disgusto che tutti noi abbiamo provato alla decisione del Governatore di non dimettersi: Aveva festeggiato a cannoli, lo accompagnano a cannoli fuori dall'assemblea regionale siciliana.
21 gennaio 2008
Petizione Grillo per invitare Cuffaro a dimettersi
Da qualche giorno c'è stata la sentenza che ha condannato Totò Cuffaro.
Il governatore non ha intenzione, però, di dimettersi.
Vediamo di mandarlo a casa raccogliendo anche un po' di firme!
Invitate tutti a firmare, inviatela per mail, fatela girare!
Qui la petizione:
http://www.petitiononline.com/d1i2m3i4/petition.html
Firmate, firmate, firmate!
P.S. io sono al 970° posto
15 gennaio 2008
Due modi di essere Stato
C’è uno Stato che spreca, che gira a vuoto, che coltiva palesemente o
meno interessi di pochi, e c’è un altro Stato, composto da gente, visi
poco noti ai più, che non ha mai smesso di lavorare per la
collettività, che non chiede voti ai cittadini pur impegnandosi e
rischiando ogni giorno. E produce, questo Stato, o almeno ci prova.
Produce legalità. Il 15 febbraio del 2007, Rai 3 ha trasmesso
una originale docu-fiction intitolata “Scacco al re, la cattura di
Provenzano”. Molti di noi l’hanno vista con estremo interesse (era un
prodotto televisivo di buon livello) e con la curiosità di vedere una
storia di mafia, vera per giunta, che termina con un lieto fine. Ad
alcuni di noi è stato perfino possibile riconoscersi tra la moltitudine
di palermitani ai funerali degli uomini di scorta del giudice
Borsellino. Lì, nel piazzale della Cattedrale di Palermo, avevamo visto
uno Stato che usciva dalla porta di servizio, non volendo affrontare la
folla che chiedeva giustizia per l’assassinio di due magistrati e delle
loro scorte. Ma lo Stato, giova dirlo, non è rappresentato soltanto
dalla classe politica di ieri e di oggi. Lo Stato è anche in quei visi
degli uomini dello SCO e della Mobile, nei visi dei PM Sabella e
Prestipino, nel viso dell’investigatore Renato Cortese e, naturalmente
nella figura di Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia. A
queste persone dobbiamo essere riconoscenti. Lo Stato di cui ti puoi
fidare, lo Stato presente, lo Stato che non promette ma mantiene è in
quei visi, e in quelli di chi non ho ancora nominato, ma sono tanti:
Giancarlo Caselli, Guido Lo Forte, Roberto Scarpinato, per citarne
altri. Sul vuoto di risorse
destinate alle indagini antimafia, sulle dimenticanze di questo Governo
e del precedente, lo scrittore Roberto
Saviano, di ritorno nella sua terra, Casal Di Principe, aveva detto: Mi piacerebbe che la sinistra
cominciasse daccapo. Mi piacerebbe che la destra potesse riprendere
quella vocazione antimafia che fu del MSI, e che in molta parte del sud
riuscì ad essere riferimento. Noi, cittadini, elettori, di qualsiasi
orientamento, corrente, partito, chiediamo con forza e speranza che
anche questo pezzo di Stato si svegli, che smettano, i nostri politici,
di occupare spazi nei TG e si diano da fare sui grandi temi, sul
problema della legalità in Italia, sulla lotta alle mafie. Perché non è
ancora tardi per cominciare, destra e sinistra insieme, ma ci urge
vedere un segno, sentirli battere finalmente un colpo.
14 gennaio 2008
L’Ultimo Padrino
Nonostante
la mia difficoltà a trascorrere le serate davanti alla TV, dopo aver visto la
fiction Il Capo dei capi, ho voluto
vedere anche questa miniserie, l’Ultimo
Padrino.

Il Capo dei capi aveva un
indiscutibile punto di forza nella recitazione, nell’uso genuino e credibile
del dialetto, un palermitano vero e non il solito slang siculo-raulbovese. Vedi recensione de Il Capo dei capi: http://IoTocco.ilcannocchiale.it/post/1746420.html
In
questo caso, invece, nonostante la scelta in maggioranza di attori
“madrelingua”, si assiste a qualche forzatura, a partire da Nino Frassica, che
pur mettendoci impegno sembra innaturale. A parte questo punto, la recitazione
è gradevole, non in linea con il solito genere fiction, semmai più vicina alla
scuola de Il commissario Montalbano o l’ispettore Coliandro, prodotti ottimi
nel loro genere.
Le
riprese, nelle scene di azione, virano su pellicola non cinematografica, dando un tocco più
reale, tipo Home movie. Non amo questa scelta, ma non disturba più di tanto.
Sopra
tutto, si eleva la prova di un attore ormai nel pieno della maturità qual’è
Michele Placido, che recita soprattutto col corpo, con la mimica facciale. Mostro sacro, mi ricorda un po’ Giancarlo Giannini. E’ bravo, talmente bravo da
essere credibile anche quando tenta l’uso del dialetto (per fortuna poche
volte).
Qui
torna il problema già visto con la fiction precedente, Il Capo dei capi. Ambedue buoni prodotti televisivi come fattura,
ambedue prodotti equivoci come messaggio sociale.
Anche
in questa miniserie c’è un alter ego, il poliziotto Renato Cortese,
interpretazione questa di livello più basso, e interazioni che ricordano i vari
distretti di polizia. Occorre dirlo, non basta. Il personaggio Provenzano
sovrasta tutto e tutti, non ci fa tifare per lui, ma poco ci manca. Un copione
così intimista, un’interpretazione così sofferta (vedi anche la moglie del
Padrino, persona umanamente preoccupata per la malattia dell’amato), ci fanno
sospirare, ci fanno quasi sussurrare un ma
lasciatelo curarsi in pace… non va bene.
Si
sta raccontando la latitanza di una bestia, di un mostro che si è lasciato
dietro troppo sangue, insieme al suo compare Totò u curtu, di cui almeno si
sottolineava l’aspetto visionario, la lucida follia. Provenzano appare
piuttosto come un saggio, un vecchio signore a cui ci rivolgeremmo quasi a
chiedere consiglio.
Un’ultima
curiosità: in questa fiction Provenzano non è nominato, si fa riferimento
sempre allo Zio. Gli scappati americani Inzerillo diventano
Cappello. Ma perché? Che problemi ha avuto la produzione, trattando una storia
vera, con tanto di condanne passate in giudicato? Piacerebbe saperlo.
Stasera
ci sarà la seconda parte: spero di poter correggere le impressioni negative e
confermare le positive. Buona visione.
Aggiornamento: vista la seconda parte; è stato emozionante rivedere le immagini della cattura di Provenzano, il successo di Renato Cortese e dei suoi. E' bello vedere storie di mafia a lieto fine. Continuo a non capire il motivo dei nomi cambiati (altro esempio: Renato Cortese è diventato Roberto Serra! Boh...) http://www.romareporter.it/index.php?sez=articolotuttogue&id=6479
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