Diario
26 maggio 2008
Ricordo di quando ballavo tra gli angeli
Frequentando il blog di Capastuerta, ho partecipato a questo giochino, in cui si doveva collegare uno pezzo di vita vissuta ad un film. A me è venuto in mente un episodio della mia vita dei primi anni di liceo, insieme al mio film preferito dell'epoca, il Tempo delle mele. L'episodio è uno tra i più stupidi, ma quella era un'età dove le cose si vivevano al doppio della velocità, e gli strascichi che lasciava anche il più inutile degli accadimenti erano eterni! L'episodio riguarda una delle prime feste liceali che avevo organizzato a casa mia, un vecchio giradischi collegato a due casse e un amplificatore, patatine Pai e cocacola, non occorreva altro. Non c'erano droghe nè alcool a fiumi, e il successo della festa era direttamente proporzionale alla presenza di portoghesi. Quindi si diceva di venire solo con l'invito, ma si sperava sul passaparola. I miei genitori chiusi in cucina col cane, noi pigiati in salotto, la mia compagna di banco, detta nutella, che pomiciava sul divano, gli altri sudati a ballare. La porta di casa sempre aperta perchè il campanello non lo sentiva nessuno.
 Ed è da lì che la vedo entrare, tra i non invitati, lei, bionda, figa che più figa non si può, alla mia festa, Angela si chiama, e infatti è un angelo. E' Quella ragazzina talmente carina che nessuno osa avvicinarla subito (altri tempi, sì), ma tutti la studiano, perfino nutella smette un attimo il pomiciamento. Io la avvicino in quanto padrone di casa, ma mi trema la voce. Lei si accomoda, si mette a suo agio, dopo un po' comincia a ballare.
Ed è dopo un po' di pezzi, quando gli altri stanno già prendendo coraggio, che mi viene l'iniziativa, il colpo di genio: come quando si gioca a calcio, e il proprietario del pallone acquista il diritto di vita e di morte sugli altri giocatori, io ordino a mio fratello di togliere Billie Jean, suscitando le proteste di tutti (vitae necisque potestas!!!) e al suo posto gli porgo il 45 giri della Kool & The Gang, il mitico lento NO SHOW (colpo di stato, imporre i lenti a metà serata). Mi avvicino a lei, e le chiedo di ballare.
Lei non rifiuta (come potrebbe, col padrone di casa), ma non si sforza neanche. Friggo per gli sguardi degli altri sui nostri corpi. La stringo con cautela, chissà si rompe, o svapora in una nuvola di fumo, come nei concerti. Le dico che farei l'abbonamento per ballare con lei (battutona!), e quando mio fratello mette Reality di Richard Sanderson, lei mi chiede di ballare ancora, e mi sussurra: "tanto hai l'abbonamento, no?"
Ecco: il mio ricordo termina qui, eroe per una sera, ottomila generazioni di latin lover che si convogliano in me, immortale mentre ballo tra gli angeli!
23 maggio 2008
23 maggio 1992, FALCONE ASSASSINATO... 16 anni dopo il lutto non sbiadisce.
Il 23 maggio 1992, alle 17,58, presso il Km. 5 della A29, una carica di cinque quintali di tritolo posizionata in un tunnel scavato sotto la sede stradale nei pressi dello svincolo di Capaci - Isola delle Femmine viene azionata per telecomando da Giovanni Brusca, il sicario incaricato da Totò Riina. La deflagrazione ucciderà Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani, Rocco Di Cillo. L’attentato viene soprannominato “La strage di Capaci”.
Sono passati 16 anni, nel corso dei quali è stato detto, scritto, e rappresentato tutto quello che conosciamo. Palermo ha avuto la forza di ribellarsi, e con la città lo Stato, che ha conseguito vittorie importanti, anche se la guerra è ancora tutta da combattere. La memoria si è spenta solo in parte, costa dolore il pensiero che il tempo possa sbiadire il lutto di quei giorni.
 Io ero in via Croce Rossa, in licenza dal servizio civile che stavo prestando a Caltanissetta, al carcere minorile della città. Avevo i miei pensieri: la lontananza da casa, un amore che finiva, la borsa coi vestiti sporchi e un pullman che, l’indomani, mi avrebbe riportato in carcere. La notizia me la diede l’amica a cui stavo telefonando da una cabina telefonica. Avevo già sentito tante sirene, troppe, tutte in direzione autostrada. Avevo capito che qualcosa di grave era accaduto. Ma non pensavo irreparabile. L’amica mi disse che Falcone era ancora vivo, forse anche la moglie. Ma erano gravi, gravissimi. Ammutolii. La sensazione che qualcosa si fosse irrimediabilmente sgretolato, e che non vi fosse più rimedio. Capii cosa significa sentirsi crollare il mondo addosso. Prima di cena, Palermo intera cadde in uno sconforto senza limiti, le telefonate si susseguivano frenetiche tra amici, ma le parole non c’erano. Era solo desiderio di contatto. Non avevo voglia di tornare in carcere, a Caltanissetta, dove forse mi attendevano detenuti in festa, come quelli, di cui seppi, che dentro l’Ucciardone stavano festeggiando la vittoria sullo Stato. Ma ero in servizio civile e non potevo far nulla, ero anch’io un frammento di Stato. Dovetti lasciare Palermo, la mia città ferita a morte. Il direttore del carcere mi negò la possibilità di partecipare ai funerali. Anche lui rappresentava lo Stato. E con esso il senso del dovere. I funerali li vidi in televisione, a Caltanissetta, insieme alle guardie e ai detenuti, trattenendo le lacrime. Ma scoprii che anche loro le trattenevano. Sentii parlare Rosaria Costa, vedova Schifani. Il prete che le porgeva il microfono era lo stesso che anni prima mi aveva dato la cresima. Adesso lo vedevo lì, allontanarle il microfono per paura che la vedova dicesse parole di troppo. Struggenti, vere, ma di troppo. E c’era Borsellino, di pietra, e Antonino Caponnetto, in un dolore composto che a luglio di quell’anno sarebbe diventato, definitivamente, senza speranza.
Sedici anni fa, era questo che accadeva. Altro ancora sarebbe accaduto, prima che lo Stato si risollevasse e portasse giustizia. A noi resta il dovere della memoria.
Falcone diceva: “Ognuno di noi deve fare la sua parte, piccola o grande che sia, per contribuire a creare condizioni di vita più umane. Perché certi orrori non abbiano più a ripetersi”
Segnalo l'iniziativa di Palermo Urban blog, che raccoglie tutte le testimonianze dei navigatori, alla semplice domanda: tu dov'eri quel giorno? Idea semplice, e molto interessante come lo sono le cose semplici.
Segnalo inoltre questo I N T E R E S S A N T I S S I M O video da YouTube, illuminante sull’argomento, dal titolo:Costanzo Show: Totò Cuffaro aggredisce Giovanni Falconehttp://www.youtube.com/watch?v=F5MZmJLMQ9Y

A questi due uomini, solo grazie. Dopo 16 anni. Ancora grazie!
20 maggio 2008
GIOCO: TRA I COMMENTI, INSERISCI LA TUA CITAZIONE
BASTA! MI SONO ROTTO I MARONI DI PARLARE DI POLITICA.
Lancio un gioco ai più volenterosi (e siete in tanti). La preghiera è: P A R T E C I P A T E!
Il gioco è di carattere letterario, mi è venuto in mente leggendo il bellissimo blog di Jericho.
Nello spazio commenti copiate l'incipit o un brano significativo (anche breve) di un libro che vi è piaciuto, romanzo, saggio, quello che volete.
Riempiamo sto post di commenti, ogni commento un libro da leggere. Fantastico, no? E allora, che aspettate?
Comincio io, ovvio no? E non posso non citare il libro che da il titolo al mio blog, non fosse altro che per riconoscenza: “Cyrano de Bergerac” di Edmond Rostand
Ecco, ed io gitto con grazia il cappello,
poscia comodamente, pian pianino,
mi libero del mio vasto mantello
che mi attabarra, e lo spadon sguaìno.
Di Celandone piu' gentil, piu' fino
di Scaramuccia al gioco dello scocco
vi prevengo, mio caro paladino,
che giusto in fin della licenza io tocco.
La famosa frase "al fin della licenza, io tocco, non è ovviamente tratta dalla canzone del maestro Guccini, bensì dal libro di Edmond Rostand. CYRANO la pronuncia quando sconfigge in duello il Visconte, al quale aveva
detto che lo avrebbe toccato con la spada solo alla fine di otto versi, improvvisati
ad ogni attacco. Cyrano mantiene quanto promesso e ... in fin della licenza (cioe' dell'ottavo verso
improvvisato e quindi dell'ottavo attacco) affonda la spada e... tocca!
Questa è la mia citazione. E adesso, via al gioco. Ogni commento, un libro da leggere!
AGGIORNAMENTO DEL 22 MAGGIO
18 maggio 2008
FIERI DI QUESTA INTER
LA STORIA SIAMO NOI
CAMPIONI D'ITALIA
2007-08
FIERI DI QUESTA INTER

A
4 minuti dalla fine, già nei minuti di recupero, Recalcati, grande “telecroninterista”,
ha detto: INIZIATE AD ALZARVI DAL DIVANO, SGRANCHITE LE GAMBE!
Adue
minuti dalla fine: ADESSO POTETE METTERE FUORI LE BANDIERE
Poi:
MENO 15 SECONDI, MENO DIECI, MENO CINQUE!
POI…
FEEESTAAA!

16
volte
Grazie!
Un enorme grazie al nostro
CAPITANO,
Saverio
Zanetti,
il trattore, combattente,
capitano unico! 

17 maggio 2008
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perchè
rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perchè mi stavano
antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano
fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perchè non ero
comunista.
Un giorno vennero a prendere me e non c'era rimasto nessuno a protestare.
Bertolt Brecht Aggiornamento del 21 luglio 2008 Grazie ad una segnalazione di Fulvio scopro che il testo non è in nessun modo attribuibile a Bertolt Brecht, ma piuttosto, sembra, al pastore Martin Niemöller (1892-1984) Per maggiori informazioni, prego leggere le interessanti pagine segnalate dal commentatore Fulvio: http://blog.webnews.it/23/05/2008/prima-di-tutto-vennero-a-prendere-le-bufale/
12 maggio 2008
CAMBIAMENTO CLIMATICO, verso una road map
Il
Nobel per la Pace assegnato ad Al Gore e all’IPCC, la task force di
scienziati dell’ONU, da l’idea di quanto sia urgente la preoccupazione
sui rischi legati al cambiamento climatico. Il solo annuncio della
notizia ha contribuito ad accelerare il difficile percorso verso un
accordo internazionale sul taglio dei gas serra, la road map sul clima,
come è stato soprannominato. Come osservatori, navighiamo a vista tra
dichiarazioni catastrofiche e smentite di presunti esperti, ma non
serve essere scienziati per capire la portata del mutamento che
sconvolge i ritmi climatici e gli equilibri del pianeta. La maggior
parte di noi, credo, accetterebbe un freno allo sviluppo, un cambio di
rotta nel tentativo di migliorare la situazione, a partire dal
dimezzamento dell’emissione dei gas serra. Come sempre, aspettiamo il
contributo determinante dei nostri leader, di una politica che metta da
parte gli interessi di potere e prenda una buona volta parte alla
nostra vita. Domani non si combatterà più per il petrolio, ma per
l’acqua, per le materie di prima necessità. Però c’è un aspetto
strettamente quotidiano nella vicenda, che fatica ad ottenere il giusto
risalto: il consumo e lo smaltimento dei prodotti, l’inquinamento
dell’aria, lo spreco delle risorse,
riguarda soprattutto le nostre
condotte di vita. In Italia è ancora troppo basso il numero di persone
che differenziano e riciclano la loro spazzatura.
Oggi si può riciclare
il legno, il ferro, la plastica, la carta, il vetro, gli scarti
alimentari, con più o meno efficacia a seconda delle politiche
cittadine, ma troppa gente, anche in città virtuose, si ostina a non
differenziare i rifiuti. Chi non ha sentito la lamentela sul “camion
della nettezza urbana che raccoglie tutto indistintamente, quindi non
vale la pena”. Ma differenziare e riciclare i rifiuti deve diventare
uno stile di vita, deve potersi fare cultura, quotidianità. C’è poi
il tema del riutilizzo: si buttano via troppe cose che potrebbero
invece avere ancora vita. Un televisore, un frigo, i giochi dei bimbi,
i vestiti usati e tutto ciò che non ci interessa più, potrebbe
interessare altri. Frequentare i mercatini dell’usato, al di là del
piccolo guadagno che questa attività può costituire, significa
permettere ad altri di riutilizzare la roba che stavamo per buttare via. Il
risparmio energetico nelle nostre case, non spegnere il televisore dal
telecomando, mettere lampadine a risparmio di energia o filtri
rompigetto per l’acqua, non costituisce solo risparmio per le nostre
tasche, ma libera risorse per tutti, almeno quanto moderare l’uso
dell’aria condizionata o non sprecare la carta nei nostri uffici. Questi
sono pochi esempi di come tutti noi c’entriamo con la salvezza del
pianeta. Al di là delle responsabilità dei politici, c’è la nostra
responsabilità di cittadini nell’appropriarci di abitudini nuove per il
bene collettivo, nell’imboccare questa strada e insegnarla ai nostri
figli.
| inviato da ioTocco il 12/5/2008 alle 10:22 | |
9 maggio 2008
L'operaio dimenticato sull'isola di Sakhalin, da un articolo di Repubblica
Alla fin dei conti il problema principale è l'indifferenza; non quella degli altri: LA NOSTRA. Qual'è la capacità che ognuno di noi ha, di assorbire tragedie, riuscendo ancora a scoprirsi davvero sconcertato? Un telegiornale ci vomita addosso in media una decina di tragedie a sera, i due terzi delle cose a cui assistiamo ci rimandano solo sentimenti d'impotenza, pian piano ci scopriamo non abbastanza turbati, quasi indifferenti. E ce ne facciamo una colpa.Sfogliando Repubblica, ieri, ho letto questo articolo. Tra tutte le tragedie infinite, la mia attenzione si è fermata su questi due operai, dimenticati dalla loro Ditta, morti di fame.Gli ultimi. La spazzatura del mondo. Persone che non importano, quindi oggetti di un'azienda che, come può accadere per gli oggetti, se li è dimenticati.
Ecco l'articolo:
L'operaio dimenticato sull'isola di SakhalinI suoi padroni l'hanno fatto morire di fame
Repubblica — 08 maggio 2008
pagina 16
sezione: POLITICA ESTERA
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MOSCA - Un lavoratore nordcoreano è morto di
fame mentre faceva la guardia ad un piccolo impianto di lavorazione del
legname in una remota zona dell' isola di Sakhalin, nella taiga, a 83
chilometri dal villaggio di Nish che si trova a sudovest della città di
Nogliki, sulla costa del Pacifico. Dello sventurato immigrato non è
stato comunicato nemmeno il nome. Nulla, se non la sua atroce e assurda
morte, in quest' isola dove petrolio e gas stanno portando ricchezza e
però anche contrasti sociali terribili. Sappiamo invece che quel
poveraccio era lì dallo scorso agosto, assieme ad un altro sventurato
compagno di lavoro: abbandonati con qualche provvista alimentare, l'
ordine di sorvegliare i macchinari e le attrezzature, la vaga promessa
che sarebbero tornati a riprenderli al più presto. I due vigilanti non
hanno visto più nessuno per otto mesi. Il grande freddo li ha bloccati.
Un' altra emblematica tragedia della globalizzazione e del capitalismo
selvaggio. Lo sfruttamento intensivo delle foreste per produrre legname
è sotto controllo, in Siberia, delle cosche mafiose. Corrompono, e
hanno mano libera. C' è voluta la commovente cocciutaggine del capo
della comunità nordcoreana di Sakhalin a dare l' allarme. Più volte
aveva sollecitato i dirigenti dell' azienda - una ditta di Sakhalin -
di andare a controllare la situazione, perché non aveva più notizie dei
due compatrioti. Fatica sprecata. E così, il capo dei coreani si è
rivolto alla polizia del distretto di Nogliki. Il commissario ha
mandato un gruppo di agenti. Quando sono arrivati, hanno trovato un
cadavere e un altro uomo in fin di vita. Erano rimasti senza cibo e
senza medicinali. Sebbene abituati a sopravvivere con qualche manciata
di riso al giorno, i due nordocoreani hanno ceduto a metà aprile. Una
fine beffarda: all' inizio della lenta illusoria primavera di Sakhalin.
Per la sua impietosa climatologia gli zar l' avevano scelta come
estrema colonia penale. Il grande Anton Cechov fu autore di un celebre
pamphlet in cui denunciò le atroci condizioni cui venivano sottoposti i
galeotti. Dopo qualche settimana di soggiorno, scrisse nel suo diario:
«Ho visto Ceylon, che è il paradiso, e Sakhalin che è l' inferno». La
notizia è stata diffusa soltanto ieri. Per merito dell' indignata Olga
Savchenko, capo dell' ufficio immigrazione di Sakhalin, che ha
convocato una conferenza stampa. Nell' isola vasta 76400 chilometri
quadrati e scarsamente popolata - poco più di mezzo milione di abitanti
- sono sotto contratto 3500 lavoratori di nazionalità nordcoreana. Sono
gli immigrati più disperati, accettano paghe miserabili e trattamenti
disumani. La signora Savchenko ha detto che la società era in arretrato
con lo stipendio ai due da 18 mesi, e non ha neppure voluto pagare i
danni alle loro famiglie: «Ci ha colpito tale crudele trattamento del
datore di lavoro. Abbiamo consegnato il dossier alla procura che ha già
avviato un' inchiesta. Da parte nostra, faremo tutto il possibile per
denunciare penalmente i dirigenti della società e per sospenderne l'
attività. Per noi è una questione d' onore». (l. c.)
Russia
globalizzazione
ultimi
povertà
| inviato da ioTocco il 9/5/2008 alle 10:37 | |
8 maggio 2008
Yoani Sánchez censurata?
Appena ieri parlavo del blog di Yoani Sánchez, 32 anni, blogger cubana, che ho avuto il piacere di leggere e commentare col mio spagnolo maccheronico, che oggi già non la trovo più!!!
CENSURA?
Aggiornamento delle 18,05: Francesca Lu mi segnala che il blog di Yoani è tornato operativo! Sono contento e sollevato...
7 maggio 2008
Andando a zonzo tra i 100 personaggi influenti di TIME...
...scopriamo un nome sconosciuto ai più (e non che sia l'unico):
Non una qualunque blogger, però. Una donna che fa della sua passione per la rete, e del suo blog, un'occasione di cyberdissidenza. A Cuba, le connessioni private al Web sono illegali. Yoani Sánchez deve fingersi straniera per poter scrivere. Il suo blog, che ho visitato, è interessante, ricco e perfettamente comprensibile, ci porta dentro Cuba, sotto dittatura, col pane razionato la cui qualità continua a scarseggiare (post di ieri, 6 maggio).
Entriamo nelle pieghe della vita sotto Fidel (o Raul Castro, attualmente la differenza è poca).
Chi scrive è una donna semplice, che, sulla notizia di essere stata inclusa tra le 100 personalità che hanno influenza sul mondo, nella categoria "Eroi e pionieri", risponde scrivendo che avrebbe preferito essere nella categoria "cittadini" (aunque preferiría la simple categoría de “ciudadano”)
blog
cuba
yoani sánchez
cyberdissidenza
| inviato da ioTocco il 7/5/2008 alle 13:3 | |
5 maggio 2008
Occhi d’un nero intenso
Occhi d’un nero intenso...
Erano quelli dell’attrice, non
ricordo il nome, non quelli dolci da Tempo delle mele, piuttosto quelli
grintosi di Flashdance, quelli da pantera, da ce la farò. Sophie
Marceau, la prima cotta cinematografica. No, piuttosto Jennifer Beals,
con lo sguardo aggressivo e i riccioli in disordine. La vita stretta da
ballerina mancata e un’energia speciale dentro. Flashdance l’ho
visto quattro volte, in quel cinema che prima era un teatro, lo stesso
dove ho visto il primo film da adulto, senza genitori, I Barbapapà, mi
pare. Per il cinema ho sempre avuto passione, ancora non capisco
perché mia zia Lina se la prendesse tanto per il fatto che c’era un
teatro in meno. - Mbe’?… adesso c’è un cinema in più - le rispondevo. E lei s’incazzava. Ma alla fine la rispettavo, anche quando diceva che il teatro è d’un altro livello, con l’alterigia di chi sa di capirne di più. - Ti mancano le basi, che vuoi farci?… colpa di tua madre. - Da bambino, in effetti, sono state rare le occasioni in cui frequentare un teatro. Quelle
poche volte andavo con zia Lina, che era abbonata e s’intestardiva con
mia madre perché a suo parere se le persone andassero a teatro fin da
piccole il mondo funzionerebbe meglio. Per la verità, a mia madre
andava pure bene che mi togliessi di torno per tre ore, che così poteva
dare lo straccio per terra e magari la cera. Ma quello che non andava
giù a zia Lina era che potessi seguirla solo per scomparire un
pomeriggio intero da casa. - Sì, per favore, portatelo in giro così mi faccio il corridoio - - Guarda che me lo porto a teatro - rispondeva zia Lina, sottolineando la necessità dell’evento. - Meglio! Posso fare magari salotto, cucina e camera da letto! - Così, a forza di cera sui pavimenti mi sono fatto una cultura. Dello
spettacolo poi non è che me n’importasse, a otto anni: seguivo male la
storia, non capivo i dialoghi, non m’appassionavo ai personaggi. L’unica
cosa che mi piaceva era l’inizio; mi cullavo nel brusio di sottofondo
prodotto alle mie spalle (zia Lina aveva la prima fila) e mi divertiva
aspettare il suono della prima campanella, quando ogni rumore sarebbe
cessato di colpo per poi riprendere in crescendo. Alla seconda
campanella mi voltavo. La cosa che m’affascinava di più era osservare
come tutti gli spettatori fossero ancora distanti dai posti assegnati
con una logica quasi matematica. Il signore sudaticcio in giacca e
cravatta dietro di me doveva raggiungere nientemeno che i palchi, e
diceva all’amico con la pipa di non preoccuparsi, che ancora c’è tempo.
Poi lanciava benedizioni papali a una decina di persone ad ogni angolo
della sala, come a dire “tra un po’ ci vediamo su”. Alla terza
campana si scatenavano gli avvoltoi della poltrona libera, quelli che
avevano il posto in galleria e pregavano perché il commendatore Arena
non venisse. “Quella è la sua poltrona, di solito è puntuale, vuoi
vedere che non ha trovato parcheggio?” Zia Lina m’insegnava a
riconoscerli già dalla prima campana: - Guardali; tutti fermi ai lati
della sala, aria circospetta, viso paonazzo. - Ci azzeccava sempre. La
cosa che mi meravigliava era vedere come, con tutto quel casino di
posti da conquistare, file intere occupate da una persona sola (“Guardi
che chiamo la maschera. Questa è storia d’ogni volta!”), gente che
andava, veniva, salutava, rideva, vociava, rimproverava, correva,
quattro minuti dopo il suono della terza campana tutto questo era
miracolosamente un ricordo. C’ero rimasto io, con quel tendone rosso
porpora davanti, con quelle due parti austere e magiche che al via di
non so quale forza misteriosa si sarebbero aperte per catapultarmi in
una storia non mia, tutta nuova, bella o brutta non importava in quel
momento, perché quello era il momento in cui io, solo io, stavo
entrando nella favola segreta: era il momento in cui s’apriva il
sipario. 
Nota
bene: il testo contenuto nella presente è sempre protetto da
copyright e non può mai essere utilizzato a meno di esplicita ed
inequivoca autorizzazione da parte dell'autore.
2 maggio 2008
THE TUDORS
Grande appuntamento del giovedì sera, nonostante la mia ritrosia televisiva, ho cominciato a seguire la serie televisiva
THE TUDORS ovvero la storia, in chiave romanzata, dei primi anni di regno di Enrico VIII, re d'Inghilterra fino al 1547.
La storia, prodotta nel Regno Unito per il canale Showtime, ha debuttato in Italia sul digitale terrestre, canale Mya, a fine aprile di quest'anno.
L'interprete principale è Jonathan Rhys Meyers. Il cast è composto da attori per lo più sconosciuti in Italia, tranne Sam Neill
che interpreta il Cardinale Thomas Wolsey.
 Recitato comunque in maniera convincente, il serial si distingue per le scenografie, eccellenti. La trama è coinvolgente, sebbene l'aderenza alla storia sia tutta da provare. Ma tiene incollati allo schermo.
E' un altro modo di vedere prodotti televisivi, senza alcuna distrazione pubblicitaria, per due puntate di fila ogni giovedì. Un serial che è distante anni luce dalle nostre produzioni, se penso alle fiction di Mediaset o della Rai, anche in costume, mi viene da sorridere. Davvero, dopo aver visto un prodotto simile, con una programmazione lineare, senza pubblicità, è difficile tornare indietro.
THE TUDORS
| inviato da ioTocco il 2/5/2008 alle 12:26 | |
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